Articolo tratto da " La Repubblica " di oggi
Abbiamo assistito all´incontro tra il re del rock e Norton alla presentazione del documentario sul making del celebre disco Toronto, tutti in piedi parla il Boss "Io, ‘Darkness´ e la working class" Una sorta di "lectio magistralis" su America, musica, e identità del rock a partire dal disco Quando il musicista entra in sala per parlare dell´album parte una raffica di cori da stadio GINO CASTALDO TORONTO dal nostro inviato Quando arriva Springsteen il mondo si ferma. Perfino Ed Norton, amico del boss da più di un decennio, si trasforma in un fan rispettoso. L´attore e il rocker sono a Toronto per la presentazione del documentario sul making dell´album del 1978 Darkness on the edge of town. «Capita di ricevere complimenti dai tuoi idoli, ma se a farlo è Bruce Springsteen è una cosa inimmaginabile». Quando entra il Boss tutta la platea si alza in piedi e intona il rituale saluto: «Bruuuuuce, bruuuuuce», come in un coro da stadio. La conversazione prende la piega di una lectio magistralis su quell´album e più in generale sull´America, sulla musica, sull´identità del rock. «Il documentario sul making del disco è un tesoro» dice Norton, «ed è bello che tu lo abbia condiviso col pubblico. Ma cosa ti ha dato fiducia nel credere che il rock potesse diventare un modo di raccontare così profondamente la parte oscura delle cose?». Springsteen pesa le parole, è accorato, divertente e profondo allo stesso tempo, sa che l´argomento è cruciale, che quel disco fu una svolta nella sua carriera: «Sono cresciuto in un piccolo villaggio del New Jersey, ma se eri ragazzo negli anni 60 tutto era nell´aria, era eccitante, e c´erano artisti come Bob Dylan che avevano il coraggio di spingersi in direzioni mai battute. In studio per Darkness, realizzammo qualcosa come settanta pezzi, e fu difficile scegliere. Dopo Born to run, per una causa col vecchio manager, eravamo stati fermi quasi tre anni, avevamo registrato molte canzoni gioiose, ma io stavo cercando un´identità . Molti dimenticano che in quel periodo c´era stato il punk, e l´America stava passando un periodo drammatico: la guerra del Vietnam era finita da qualche anno, ed era come se il paese avesse perso l´innocenza. Io ero un ragazzo ambizioso, volevo essere la voce di tutto questo. Quindi tolsi tutte le canzoni più allegre e lasciai le dieci più toste. Ne uscì un disco arrabbiato». Ed Norton: «C´è voluto molto coraggio per fare un disco del genere?». Springsteen: «Altro che coraggio: paura. Ero impaurito da quello che succedeva intorno. Ero impaurito dal successo. Temevo che potesse distruggere la mia identità . Eravamo ancora giovani provinciali. Non conoscevamo gli artisti famosi, non prendevamo neanche l´aereo, eravamo molto legati al territorio, e quindi eravamo confusi. Ci sentivamo mutanti nei nostri stessi paraggi». Norton: «Ma allo stesso tempo vi stavate aprendo ad altre cose: c´è una visione del paese, nel documentario le chiami "song pictures"». Springsteen: «Sì, anche se venivamo da una piccola realtà volevamo essere importanti, che tutti sentissero la nostra voce. Non c´era alcuna modestia in questo. Conobbi De Niro e Scorsese, che una volta disse: "Il lavoro dell´artista è fare in modo che il pubblico prenda a cuore le tue ossessioni". C´erano film come Taxi driver e Mean streets. Io volevo che Darkness riflettesse i tempi. In un certo senso era "cinematico". In quel periodo io e Little Steven comprammo una macchina per 2000 dollari e ce ne andammo in giro per il Southwest a vedere l´America». Norton: «C´era stato Bob Dylan, uno che dava l´impressione di essere il definitivo savant, di pensare su grande scala, ma anche tu dai sempre la sensazione di sapere esattamente quello che stai facendo». Springsteen: «Sono cresciuto ascoltando Jerry Lee Lewis, il gospel, il blues, devi studiare tutte queste cose per fare poi quello che vuoi. Ma quel periodo era molto diverso da oggi. Le cose cambiavano velocemente. Quando uscì Darkness sembrava che a trent´anni uno fosse già vecchio. Ricordo che tutti erano alla ricerca del nuovo Dylan, ma in quel momento Dylan aveva poco più di trent´anni». Norton: «Vi hanno influenzato scrittori beat come Kerouac e Ginsberg?». Springsteen: «Non direttamente. Ginsberg l´ho letto dopo aver fatto il primo disco e ho fatto dei confronti. Ma in fondo eravamo bohemien per caso, la nostra era working class music. Eravamo influenzati soprattutto dai dischi che ascoltavamo. Anche Elvis a suo modo era stato un rivoluzionario, aveva mischiato generi, razze». Norton: «C´è stata anche un´attenzione alla realtà politica del paese. Com´è cominciata?». Springsteen: «Sicuramente con The river, col tour di Amnesty International, ma c´è sempre stata la coscienza di quello che succedeva. Quando facevo Darkness volevo onorare la storia dei miei genitori, della gente che conoscevo, erano cose che non erano state scritte. Poi gradualmente ho capito sempre di più, anche grazie alle lunghe conversazioni con Jon Landau, cercavo di capire chi fossi, cosa volesse dire il successo, volevo mantenere il senso di me stesso anche se la mia vita era cambiata, cercavo di rimanere sano, attraverso la rabbia e il riscatto». Norton: «Se potessi parlare al te stesso giovane del documentario e agli altri della E Street Band del 1978, cosa diresti?». Springsteen: «Gli direi di non preoccuparsi della vita, ma del lavoro. La realizzazione di Darkness fu così dura che a volte pensavamo che lo stessimo facendo nel modo sbagliato, ma guardando indietro posso solo dire che era l´unico modo in cui sapevamo farlo. Quel disco è stato l´inizio di una lunga conversazione coi miei fan che dura ancora oggi, e che è stata una delle cose più importanti della mia vita. Volevo intrattenere la gente, volevo una Cadillac rosa, volevo le ragazze, ma quello di cui avevo più bisogno era dare un significato al mio lavoro».
_________________ Everybody's got a secret Sonny
Something that they just can't face
Some folks spend their whole lives trying to keep it
They carry it with them every step that they take
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