THE RISING
- Andrea Boido
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Rompo un lungo
silenzio, ma d'altra parte un nuovo singolo di Bruce Springsteen non è, purtroppo, roba di tutti i giorni (o di tutti gli anni,
se è per questo). Ho letto tutto e il contrario di tutto su questa canzone e se non altro una cosa è sicura: questa canzone fa
discutere. Paradossalmente ho trovato punti di contatto con quasi tutti i giudizi espressi su The
Rising; prima di esporre il mio parere, però, voglio fare una precisazione.
E mettetevi comodi, perchè lo sapete che quando scrivo sono affetto da una sorta di grave forma di diarrea verbale. Perciò, se non vi piacciono le mail
lunghe, questa la odierete a morte, tanto vale che passiate alla prossima.
Se sono springsteeniano è, prima di tutto, grazie ai suoi testi. Posso definirmi fan di altri cantanti e di altri gruppi, ma con Bruce è sempre
stata una cosa ben diversa e la differenza l'hanno fatta le cose che ha detto e come le ha dette. In secondo luogo sono springsteeniano per come le
sue parole si amalgamano con la sua musica; il testo di Backstreets senza quella musica drammatica non avrebbe mai avuto lo stesso impatto su di me,
giusto per fare il primo, banale esempio che mi salta in mente. Per carità, adoro anche la sua musica, non
fraintendetemi, ma se fosse dipeso solo da quella non sarei qua a scriverne probabilmente, ne lui avrebbe bene o male
fatto parte della mia vita per vent'anni.
Fine della premessa.
Posso capire chi ha criticato il pezzo. Al primo ascolto anch'io ho pensato "beh, tutto qua?". Ok, facciamo al secondo, perchè il primo andrebbe
numerato come "ascolto zero", in molti sensi: l'emozione di ascoltare
un pezzo del nuovo album di Springsteen finisce per tapparti le orecchie e alla fine neanche hai idea di cosa hai sentito, perchè in realtà non hai sentito
un bel niente. Perciò la vera numerazione andrebbe fatta partire dal secondo ascolto. E il secondo non è stato edificante; qui ho sentito parlare di Car
wash, che considero una delle cinque peggiori canzoni di Bruce, ma non mi ha ricordato neanche quella. Non so come, non so perchè, ma mi ha fatto venire
in mente un non meglio precisato pezzo di discomusic della fine degli anni '70. Questo non è bene.
A quel punto ho pensato che ci dovesse essere un errore, che avessi sbagliato io qualcosa. Ho letto il testo; l'avevo già letto di sfuggita e
non mi aveva detto nulla. L'ho riletto e mi ha detto poco di più. Poi ho messo le due cose assieme, parole e musica, ho cominciato a capire
meglio cosa stava cercando di dirmi con quella canzone, e bum! E' stato come entrare in un'altra dimensione o, in modo un po' più terra terra, come quei
quadri da cui, a forza di fissarli, vedi emergere un'immagine. Dire che l'immagine mi è piaciuta a questo punto è un po' riduttivo e qui trovo il
punto di contatto con gli entusiasti.
L'unica volta che Bruce mi ha davvero preoccupato (dance remix di Born in the USA a parte, è logico) è stato con American skin. Quel pezzo, per la
prima volta in vita mia, mi ha fatto pensare che forse eravamo al capolinea.
Credo di aver espresso delle riserve su quella canzone già in una mail di poco posteriore al suo esordio, ma nel tempo sono lievitate e se avessi
partecipato a quella discussione su "l'anello debole" di qualche mese
fa, di sicuro avrei messo AS come peggior pezzo di tutto Live in NYC. La struttura
musicale andava bene, credo che avesse azzeccato una melodia giusta un po' come per Streets of Philadelphia. Il tema era
interessante e gli consentiva di fare la cosa che sa far meglio: partire dal particolare, dalla storia di
un singolo essere umano, per esprimere temi universali. E proprio lì lo vedo fallire e per me è stato un mezzo shock. La prima strofa era perfetta,
con quell'immagine, che troppa gente non ha voluto cogliere chissà poi perchè, dello stesso poliziotto che ha esploso i colpi che prega per la vita
della vittima. La seconda invece l'ho trovata come minimo banale, se non addirittura irritante; non tanto per la strofa in sé (anche), quanto per il
fatto che con essa si conclude di fatto la canzone e la trattazione di un tema così ricco e delicato. Questo non è una canzone di Bruce
Springsteen, non di quello che amo almeno; è solo, per me, una grande occasione sprecata
e nel modo peggiore.
Data questa premessa ammetto di aver avuto un po' paura per un disco che, in modo più o meno diretto, avrebbe trattato di una cosa enorme come l'11
settembre. Su questo tema tutti hanno detto tutto (o almeno così credevo fino all'altroieri), qualcuno ha detto cose
sensate, qualcuno ha detto cose acute e profonde, tanti, troppi, hanno banalizzato fino all'eccesso. Il
rischio minore era perciò che Bruce dicesse al proposito una cosa intelligente, ma già sentita, il maggiore era che scadesse nella banalità.
Invece, per una volta ancora, ha saputo assumere una visuale della faccenda che, sono sicuro, per lui dev'essere la più normale e diretta e per il resto
del mondo semplicemente disorientante; e la cosa buffa, che però con le migliori canzoni di Bruce è la norma, è che, per quanto spiazzante, una
volta che lui te l'ha presentata ti sembra l'unica vera prospettiva sensata.
La storia particolare da cui parte The rising è quella di un pompiere che sale sulle Twin Towers e di colpo si rende conto che sta per morire.
Storie (vere, purtroppo) come questa ne abbiamo sentite tante negli ultimi mesi, e
io ho sempre avuto l'impressione che una storia del genere fosse, dal punto di vista narrativo, un vicolo cieco, perchè non c'è verso che un normale
essere umano possa capire o anche solo intuire cosa possa aver provato uno di questi pompieri nel momento in cui si è reso conto che stava salendo
verso la morte. La cosa triste è stata vedere alcuni giornalisti provarci, ma lasciamo perdere. La prima mossa perfetta di Bruce in The rising è stata
non provarci neanche. Io non credo che pensi realmente che quello che esprime nella canzone sia davvero quanto è passato per la testa di uno
qualunque dei 300 uomini del NYFD che hanno perso la vita nel crollo delle Twin Towers e, paradossalmente, penso che così facendo sia in assoluto
quello che ci è andato più vicino. O forse voglio solo sperare, per quelle 300 anime, che sia così.
All'inizio della canzone è come se lo scorrere della vita del protagonista
si bloccasse di colpo. Non vorrei essere blasfemo, ma mi fa venire in mente quella tecnica cinematografica che ha esordito con The matrix, con il
protagonista che resta come sospeso nel tempo e la telecamera che ruota per mostrare tutto lo spazio circostante. Tutto si blocca e la sua percezione,
in quel caos inesprimibile e malgrado non riesca a vedere nulla, sembra farsi improvvisamente mille volte più nitida e forse è proprio in quel
momento che capisce che la sua vita sta per finire. E' come se la canzone iniziasse dalla morte del narratore e già questo lo trovo spiazzante e
geniale. Sente tutto il peso del suo corpo e di quello che si porta dietro, lo sente moltiplicato:
"I can't feel nothing but this chain that binds me [...]
On my back's a sixty pound stone
On my shoulder a half mile of line"
ed ho l'impressione che questo venga sottolineato proprio perchè da quel peso e da quel corpo sta per liberarsi.
La seconda strofa in qualche modo mi ricorda l'inizio di Roulette, quell'agghiacciante "we left the toys out on the yard" che in una sola
frase mostra la quotidianità di una vita qualunque, banale, sicura e apparentemente indistruttibile, che viene spazzata via in un secondo.
"Left the house this morning
Bells ringing filled the air
Wearin' the cross of my calling
On wheels of fire I come rollin' down here"
in quel "sono uscito di casa stamattina" sembra esserci tutta la normalità
di un'esistenza che improvvisamente sta per trovare la sua fine in uno scenario che di normale, di umano, di comprensibile non ha nulla di nulla.
E' come l'inizio di quei telefilm, "Ai confini della realtà": c'è un
uomo normale, con un'esistenza normale, e la voce fuori campo ti avvertiva sempre
che il signor Tal dei Tali stava per essere sbattuto a calci in culo e contro il suo volere nella Twilight Zone, dove presumibilmente gli sarebbe
accaduto qualcosa di poco simpatico.
Qui però c'è una frase che secondo me rischia di passare inosservata, e sarebbe un gran peccato. Premetto che potrei averla male interpretata,
perchè il mio inglese è quello che è, ma io l'ho intesa così:
" Wearin' the cross of my calling "
una cosa del tipo "portando la croce della mia vocazione" o qualcosa
di simile, credo. Se davvero questa è la traduzione, allora qui abbiamo un pompiere elevato ad una sorta di Messia, che muore portandosi
addosso (ed a causa) dei peccati di tutti gli uomini. E già questa, come immagine e
interpretazione dell'11 settembre, è mille volte più profonda, umana e intelligente di tutte quelle che ho sentito negli ultimi nove mesi.
Ma c'è di più, credo: quest'uomo sta per morire perchè, semplicemente, sta facendo il suo dovere, sta svolgendo il compito che ha scelto e che
gli è stato affidato dalla comunità cui appartiene, in modo fondamentalmente non
diverso da quanto fa l'operaio della fabbrica tessile o l'insegnante della scuola che frequentano i suoi figli. Negli ultimi mesi i pompieri negli USA,
e in particolare quelli scomparsi l'11 settembre, sono stati elevati al rango di eroi (e se lo meritano, questo non si discute); il problema con gli
eroi è che alla lunga finiscono per essere dipinti come
"super-uomini", come persone con doti, capacità e compiti fuori dall'ordinario. Uomini sì, ma
elevati dalla massa. Questo è comprensibile, e forse anche giusto, ma il concetto di eroe springsteeniano è sempre stato un altro. L'eroe non è
quello che fa cose eclatanti, bensì quello che "semplicemente impedisce al
mondo di finire in mille pezzi" con il suo lavoro quotidiano, facendo la
sua parte nella comunità di appartenenza, con onestà, sacrificio e dedizione. E'
questo che rendeva Douglas Springsteen un eroe, pur con tutti i suoi difetti, e che rende questo pompiere, ora, in questa canzone, un eroe
allo stesso modo. Anche questo lo trovo disorientante e geniale.
Nella terza strofa tutti questi eroi vengono riuniti:
"There's spirits above and behind me
Faces gone black, eyes burnin' bright
May their precious blood bind me"
e qui non si distinguono più pompieri e impiegati in servizio alle Twin Towers: eroi e vittime sono riuniti, e alla fine, davanti alla "Lord's
fiery light" sono tutti uguali, tutti agnelli sacrificali dei peccati umani,
tutti eroi e allo stesso tempo vittime. Totò diceva che la morte è una livella e
più o meno credo che Bruce intenda la stessa cosa, o almeno io è così che la vedo. L'unica differenza è che qui "la livella" agisce verso l'alto,
che nella morte è evidente tutto il valore e la ricchezza della vita di questi uomini: il sangue di questi "uomini comuni" è prezioso, è il simbolo
di un legame tra gli esseri umani che va oltre l'orrore, che lo sconfigge e che li
purifica davanti alla morte ed all'ultimo passo che li porta al cospetto di Dio.
Infine c'è l'ultima strofa, e tutto sembra arrestarsi un'altra volta, come all'inizio del pezzo:
"I see you Mary in the garden
In the garden of a thousand sighs
There's holy pictures of our children
Dancin' in a sky filled with light
May I feel your arms around me
May I feel your blood mix with mine
A dream of life comes to me
Like a catfish dancin' on the end of my line"
il protagonista, nel momento in cui sta per morire, pensa ai propri cari ed è con loro in un modo talmente intimo da farli sembrare tutti una cosa sola
("may I feel your blood mix with mine"). Davanti alla morte non c'è
spazio per la rabbia e la vendetta, ma solo per l'amore, come se fosse questa l'unica cosa che alla fine davvero conta, l'ultima che resta ad un uomo
quando gli togli tutto o quando, per dirla in altro modo, lo privi di tutto quanto è terreno. Un messaggio così positivo da Bruce l'ho sentito
raramente, soprattutto negli ultimi vent'anni.
Infine c'è una parte che non saprei come definire se non con il termine "preghiera", che racchiude in poche righe l'orrore e la bellezza,
mischiate in quel cielo che simbolizza l'Uomo stesso, capace allo stesso tempo di
un'atrocità senza limite come quella di uccidere migliaia di persone e di gesti di amore infinito come il pensiero che questo pompiere, prima di
morire, ha avuto per i suoi cari. Così questa preghiera, in un modo estremamente sottile, unisce anche vittime e carnefici, chiedendo forse la
salvezza di entrambi.
"Sky of blackness and sorrow ( a dream of life)
Sky of love, sky of tears (a dream of life)
Sky of glory and sadness ( a dream of life)
Sky of mercy, sky of fear ( a dream of life)
Sky of memory and shadow ( a dream of life)
Your burnin' wind fills my arms tonight
Sky of longing and emptiness (a dream of life)
Sky of fullness, sky of blessed life"
E qui finisce la canzone, anche perchè non vedo proprio cos'altro sia rimasto da dire.
Ora, già un testo così merita di essere stampato su tutte le antologie scolastiche da qui ai prossimi duemila anni. Il fatto è che c'è anche una
musica, e non è una sommessa musica d'organo come uno si attenderebbe con delle parole del genere. Porca vacca, stiamo parlando di morte in fondo, qui
c'è della gente che crepa, e crepa male, e la loro scomparsa ha ferito come minimo un intero paese che ancora oggi, a nove mesi di distanza, stenta a
farvi fronte, ad accettarlo, a smettere di piangere e di provare rabbia. Uno si aspetterebbe di tutto, ma non quello che Bruce propone: una musica
gioiosa, trascinante, che si arresta per un attimo nei due momenti in cui anche lo scorrere dell'esistenza del protagonista sembra bloccarsi e che poi
sale fino ad esplodere, come se quest'uomo andasse incontro alla morte con il cuore che gli scoppia di amore e felicità. E' un rockettino di serie C?
Può darsi, ma il punto è proprio questo. Come mi pare abbia notato qualcuno in una mail precedente, questa è musica popolare nella sua accezione più
pura: è semplice che più semplice non si può, è quasi banale, è
trascinante, ti si attacca al cervello e non ti molla più, come ogni canzone popolare ha
sempre fatto dalla notte dei tempi. E' adatta per essere ricordata da tutti, dal contadino dell'Ohio al critico d'arte di New York; puoi detestarla, ma
alla fine, appena ti distrai, quel "li, li, li, li" ti affiora alle
labbra.
Questa è musica popolare che più popolare non si può. Ed è la musica della gioia più pura, della celebrazione senza remore, che può essere anche
stupida, ma proprio per questo è quanto di più onesto e intimamente umano esista. Tutto questo su un testo che parla di
morte.
Questo è un gospel, non nella musica, non nell'arrangiamento, ma nello spirito, nella sua essenza più profonda: è una celebrazione di quanto di più
profondamente umano e perciò di divino c'è in ogni essere vivente. E parla dritto al cuore di una comunità che è triste, abbattuta, arrabbiata e
spaventata e lo fa con parole che celebrano l'amore.
Ora, questa è una canzone di Bruce Springsteen. Questo è quello per cui io sono uno springsteeniano. E' l'umiltà di saper parlare di cose di importanza
infinita in modo semplice a persone semplici, senza mai essere banale e senza mai evitare di essere profondo.
Era almeno un decennio che una canzone non mi colpiva così nel profondo.
Se mai mi ero dimenticato perchè sono springsteeniano, ora ne sono più consapevole che mai.
Andrea |
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