giovedì 8 marzo 2012, 22:17
Che le idee di Bruce Springsteen fossero d’ispirazione democratica si era palesato quando con la sua chitarra era sceso al fianco di John Kerry nel 2004 e di Barak Obama nel 2008 per sostenerli nella campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti d’America. Ma è con la forza deflagrante di una “palla da demolizione” - “Wrecking Ball” il titolo dell’ultimo disco uscito il 6 marzo - che il Boss scende direttamente in strada accanto Occupy Wall Street, a fianco di chi ha perso il lavoro e vicino a chi ha visto aver sottratto le case in cui si abitava. “Hanno distrutto le nostre famiglie, le fabbriche e si sono presi le nostre case. Hanno lasciato i nostri corpi nelle pianure. Gli avvoltoi si sono presi le ossa” canta con un irish rock in “Death To My Hometown” (Morte nella mia città natale).
Il diciassettesimo album in studio di Bruce Springsteen vede la presenza di vari musicisti della scena rock, folk e gospel statunitense e in parte del suo storico gruppo: la E Street Band con la quale partirà in tour a fine marzo, toccando a giugno l’Italia con i concerti di Milano, Firenze e Trieste. “Ho scritto questo disco dopo aver visto molti miei amici perdere la sicurezza nel futuro” – ha affermato Springsteen in una recente intervista a Parigi – “inoltre ho voluto inserire una canzone che traccia il percorso di questo album, “Land of Hope and Dreams”, in cui è presente una parte di sax suonata dal mio più caro fratello Clarence Clemons” – scomparso nel giugno scorso – “il vuoto che ha lasciato Clarence è incommensurabile. Questo record è intriso di tristezza, passione, spiritualità e rinascita”. Ed è proprio così. Le varie tracce che si susseguono narrano una storia che inizia con lo smarrimento dell’uomo che vive in pieno la crisi economica e che si pone delle domande sulla società in cui vive: prendersi cura dei propri fratelli? Si risponde Springsteen: “We Take Care of Our Own” perchè “la cavalleria è rimasta a casa”. Non se la prende con Obama ma gli ricorda che bisogna essere più working class e si scaglia contro le speculazioni finanziarie che hanno provocato questa pesante depressione economica così come negli anni trenta. La prima traccia del disco è un rock ben composto con la presenza di archi accuratamente suonati.
Attraverso l’uso sapiente del folk più tradizionale pennellato da echi irlandesi e dell’entroterra americano, arrivano dritte dalle session di Seeger “Easy Money” e “Shackled and Drawn, che snodano un attacco feroce ai poteri forti dei capitalisti e delle banche. Non mancano canzoni d’amore, “Jack of All Trades” che da voce, su un tappeto di pianoforte e particolari loops di batteria, ad un uomo che fa di tutto per rassicurare la sua amata “che tutto andrà bene” e che, se mai ci fosse la possibilità, “sparerebbe a vista su quei bastardi”. La prima facciata del disco si chiude con “This Depression”, una preghiera alla donna, alla compagna, con l’invito a sostenere il cuore in questa tempesta della nuova depressione. Da dire che queste ultime due tracce sono impreziosite dalla stupenda chitarra di Tom Morello (Rage Against the Machine).
Se in tutta questa prima parte prevale la rabbia, la tristezza, la disillusione e lo scontro con la crudele realtà, nella seconda parte del disco, che inizia con la little tack, Bruce Springsteen narra un’altra storia, una storia fatta di lotte, di speranze, di sogni e d’intensa spiritualità. “Wrecking Ball” non ha fronzoli, arriva diretta al cuore, rock, distruggendo ogni cosa che incontra “quindi alzate i bicchieri e fatemi sentire i vostri cori perché stanotte tutti i morti sono qui, quindi portate la vostra palla demolitrice […] sappiamo che in futuro nulla di tutto ciò sarà ancora qui, così tenetevi stretta la vostra rabbia e non soccombete alle vostre paure […] portate la vostra palla demolitrice, fate il vostro lancio migliore, mostratemi di che pasta siete fatti”. Suona come una resistenza partigiana, come un invito/provocazione a non farsi piegare dai tempi duri “che verranno”, bensì a reagire con il colpo migliore che possiamo mai sganciare. Dopo aver sferrato il colpo mortale all’economia dei soldi facili e di impoverimento della società, privata della sua anima, è tempo di passione che solo l’amore sa offrire, passione che non si vende ne si compra, cantata con un blues rock da strada. “You’ve got it” ci parla di qualcosa di immateriale che si materializza solamente nel sentimento e nello spirito.
Il percorso artistico di Springsteen, nella scrittura dei testi, è segnato non solo da corse, da fughe, da delusioni, da rivoluzioni, da macchine e da fuochi che ardono nella notte, da promesse, mantenute e da promesse infrante, ma anche, in maniera pregnante e costante, da una spiritualità che affonda le sue radici nella religione cristiana. Sin da subito, nei versi di una delle più belle canzoni da lui scritte, “Badlands”, si apprezza l’attaccamento a una dimensione più profonda e trascendente rispetto a quella terrena: “credo nell'amore che mi hai dato,?credo nella fede che mi può salvare,?credo nella speranza?e prego che un giorno?possa sollevarmi da questi bassifondi”. Altri episodi dello Springsteen shepherd narrano storie tratte dalla Bibbia o dai Vangeli, “Rocky Ground” però è il picco massimo di questo spiritual; “church” music che invoca l’alzarsi del Pastore poiché le pecore del gregge si stanno smarrendo nel “terreno roccioso”; e lo fa con una scelta musicale particolare e riuscitissima, ci rimanda a “Streets Of Philadelphia”, mischiando folk, blues e rap. Nella canzone, che farà da lato A in occasione dell’uscita del 45 giri vinile per il “Record Store Day” (lato B “The Promise”), la parte rap viene cantata da Michelle Moore. Il “terreno roccioso”, questo deserto di pietre è ad un passo da binari attraverso cui passa l’ultimo treno per la redenzione, l’ultimo vagone che non lascia in dietro nessuno. “Land of Hope and Dream” arriva con il suo carico cinematico grondante di fiducia malinconica in cui “santi e peccatori” hanno la possibilità di raggiungere la “terra di sogni e di speranza” tanto agognata in quella “promised land” che è stata ed è per Springsteen un eden, sì pieno di contrasti, ma unico nella sua bellezza, nella sua essenza, nel suo tutt’uno. Versione in studio che commuove perché nel treno aleggia lo spirito di Clarence Clemons, con il suo magnificente postumo solo di sax.
Ci si aspetterebbe che la storia narrata in questo disco da cinque stelle finisca adesso, ma Bruce ha ancora qualcosa da dire, o meglio, da far dire, da far affermare con forza. “We are alive” è una folk song il cui “fade in” introduce un fischio che cita musicalmente “Ring of Fire” di Johnny Cash e June Carter, le trombe nell’intermezzo e nel fade out ne confermano l’ispirazione (citata comunque tra i cretits dell’album). “Siamo vivi e sebbene noi giacciamo qui soli nel buio, le nostre anime sorgeranno per portare il fuoco e accendere la scintilla, per combattere spalla a spalla e cuore a cuore”, ad affermarlo sono i morti che resuscitano ricordando i momenti storici dell’omicidio dei loro corpi – “sono solo i nostri corpi ad averci tradito alla fine”. Una sorta di “la mia anima è viva dunque sono”. L’affermazione della presenza dell’anima, in questa guerra contro la povertà e l’oblio, che Ma Joad in “Furore” di Steimbeck descrive bene: “Noi andiamo avanti. Noi siamo la gente che vive. Non possono spazzarci via. Non possono batterci. Noi andremo avanti per sempre, perché noi siamo il popolo”.
E Bruce is alive e si vede.