A parlare di “
Magic outtakes” si finisce in un ginepraio. Questo perché, nell’immaginario collettivo, le “
Magic outtakes” equivalgono a
Working on a dream, e allora addio.
Il problema è che, per stile e argomento,
We Take Care Of Our Own potrebbe essere benissimo stata scritta per l’
album del 2007. In più, il termine “
outtake” non va per forza associato all’idea di “scarto”, o di fondo di magazzino anche perché negli ultimi quindici anni la genesi degli
album di Springsteen si è fatta alquanto "tortuosa". Il cofanetto
Tracks sembra aver cambiato le regole del gioco, avviando un procedimento di “riabilitazione del passato” la cui onda lunga arriva fino ad oggi. Riassumendo:
Devils & Dust nasceva come rivisitazione del materiale inciso a seguito di
The Ghost of Tom Joad, e poi accantonato;
We Shall Overcome ha una gestazione analoga: un tributo a Seeger che “ossessiona” Springsteen per oltre otto anni, fino a diventare un
album e un
tour; il recente
The Promise testimonia un ritorno su registrazioni degli Anni Settanta, avvenuto fra il 2007 ed il 2010. Lo stesso
The Rising contiene pezzi scritti assai prima del Settembre 2001.
Nothing man del 1994 fu, a quanto pare, il primo pezzo sul quale si posò l’attenzione di O’Brien.
Solo
Magic sembrerebbe sfuggire a questa logica, ma forse solo perché le informazioni riguardo i suoi pezzi scarseggiano. Quanto a
Wrecking Ball, è stato definito da Steve come “una sintesi di quanto la
Band abbia fatto negli ultimi dieci anni”. A che cosa Steve si riferisse davvero, lo scopriremo solo fra qualche settima. Di certo sappiamo che l’
album contiene –
bonus tracks incluse – almeno tre pezzi appartenenti a periodi assai diversi:
Land of Hope and Dreams (virtualmente del 1999),
American Land (2006) e
Wrecking Ball (2009). Tutto questo preambolo inutile solo per dire che il processo compositivo degli
album di Springsteen è evoluto parecchio di recente e, soprattutto, temi lasciati pendenti qua e là sono stati riannodati in maniera spesso inattesa.
Il singolo d’apertura di
We Take Care Of Our Own sembra essere un perfetto esempio di questa tendenza. Se
What Love Can Do, l’
outtake di
Magic che virtualmente ha dato la stura a
Working on a dream, era stata definita da Springsteen “una canzone sull’amore ai tempi di Bush”,
We Take Care of Our Own potrebbe essere “una canzone dei tempi moderni quando l’amore viene meno”; un amore non di coppia o famigliare, ma di ordine sociale. Ancora, le prime voci su
Wrecking Ball riportateci dall’Hollywood Reporter parlavano dell’
album più arrabbiato mai scritto da Springsteen. Anche questo è un commento tutto da valutare, ma potrebbe essere un elemento importante per capire la scelta e lo spirito di questo primo singolo. Dopo il
pop di
Working on a dream e il "passatismo" di
The Promise, con questo singolo Bruce ritorna al suo impegno sociale;
We Take Care of Our Own è per molti aspetti un’acida
update delle tematiche di
Magic che sembra dirci che la ricreazione è finita.
Scorrendone il testo, viene subito alla mente
Long Walk Home, uno dei brani chiave di quell’
album, e tra i primi essere stati scritti. Il secondo verso (
I been looking for the map that leads me home) e soprattutto i riferimenti alla bandiera sono i gran parte gli stessi. Se però nella canzone del 2007 vi era la certezza che, per quanto lunga, una strada verso casa c’era, questa volta le cose sono diverse. Allo stesso modo, e per quando annichilita, la comunità americana di
Long Walk Home rimaneva un punto fisso. Qui invece sembra essere il contrario. L’ossessivo
Wherever this flag’s flown rimanda poi alla conclusione di
Your Own Worst Enemy (
Your flag it flew so high / It drifted into the sky). Di questo pezzo si parla di rado ma è essenziale nell’economia di
Magic. Quel misterioso "nemico" giunto in città da chissadove altro non era che la perdita del senso di appartenenza ad una comunità e a determinati valori. Ecco allora che La bandiera fatta sventolare con tanto orgoglio, si smarrisce in un cielo indistinto.
A badarci bene, lo stesso senso di incertezza caratterizzava anche il primo singolo di
Magic,
Radio Nowhere, un pezzo che, quanto a minimalismo stilistico, ricorda molto da vicino
We Take Care Of Our Own. Là si cercava “via etere” una
connection che era venuta a mancare: dietro alla generica volontà di sentire “del” ritmo, c’era il medesimo senso di isolamento. Non a caso, anche
Radio Nowhere si apriva su un verso pressoché identico al secondo di
We Take Care Of Our Own: “
I was tryin' to find my way home”. Tutte canzoni che denotano quindi uno smarrimento, una ricerca di una “casa” che è essenzialmente una realtà sociale che è venuta meno.
Senza voler forzare il discorso, ci sarebbe poi un ulteriore legame fra le canzoni di
Magic e il nuovo singolo. Il centro di
Radio Nowhere è ovviamente il suo ritornello, che ricalca uno “
slogan” che, passando per diverse incarnazioni, Springsteen sfrutta da almeno vent’anni: “
Is there anybody alive out there”. Un'altra canzone di
Magic, e forse la più "arrabbiata", si sviluppa attorno ad una sorta di
slogan, questa volta dalle marcate implicazioni politiche:
Last to Die. È noto come il ritornello
Who’ll be the last to die for a mistake sia un’esplicita allusione alla testimonanza che nel 1971 John Kerry rese di fronte al senato USA sulla guerra in Viet Nam, dal titolo emblematico
“How Do You Ask a Man to be the Last Man to Die for a Mistake?" Il motivo per cui ritorno su questi aspetti è perché con
We take care of Our Own si applica un procedimento simile. Come è stato segnalato da altri, “We take care of our own” (e per esteso, “
In the battlefield or at home, we take care of our own”) è pure un motto dei
Marines, volto proprio ad esorcizzare l’acronimo M.I.A. (
Missing In Action) diventato tristemente celebre nel Sud Est Asiatico. Nel contempo, ricorda gli immancabili
slogan elettorali, dove il candidato di turno si "impenga solennemente" a concentrarsi sui bisogni reali dell’elettore...
È in larga parte sull'ambiguità e sulla differente valenza semantica di questo
slogan che Bruce costrusce il suo nuovo singolo. Se però come detto, la canzone ci riporta allo spirito del 2007, le realtà è peggiore. Come sempre accade con Spingsteen, il singolo di lancio ha grande importanza. È una sorta di discorso sullo Stato dell’Unione Springsteeniana, che ha il compito di trasmettere lo stato d’animo dell’artista; un’istantanea della realtà in cui si vive. In tal senso l’attacco di
We Take Care Of Our Own dice parecchio. Il 2012 ci mette di fronte ad una serie di fallimenti: quello della politica che non sa dare risposte (
I been knocking on the door that holds the throne); quello personale (
I been looking for the map that leads me home), e soprattutto quello sociale (I
been stumbling on good hearts turned to stone / The road of good intentions has gone dry as a bone). Come per il soldato di
Devils & Dust, anche qui i cuori si impietriscono; ma non essendoci la “giustificazione” del fronte, la cosa è, se possibile, più grave. La strada delle buone intenzioni si è fatta “
dry as a bone” che è un’espressione idiomatica, ma che rimanda pure alla "Visione delle Ossa Aride" in Ezechiele, un passo già visitato da Springsteen per
Black Cowboys. Nel passo biblico l’aritità delle ossa è simbolo della fede di un popolo che è venuta meno (
Figlio d’Uomo, quelle ossa sono tutto il popolo d’Israele. Ecco, essi van dicendo: “Le nostre ossa sono seccate, la nostra speranza è svanita, noi siamo tutti perduti" Ezechiele, 37)
Il risultato di tutto questo è il ritornello ossessivo. Un “Ci prendiamo cura di noi, o dei nostri” che suona beffardo o sarcastico. Ognuno in realtà deve pensare a sopravvivere, badando in primo luogo a se stesso; e questo ovunque sventoli la bandiera, il simbolo di coesione nazionale per eccellenza. Così, questo ritornello ambiguo non può non ricordare quello alterettanto “patrittico” di
Born in the U.S.A, il cui senso era rivelato solo a patto di ascoltare le strofe per davvero. E allo stesso modo, l’andamento dei violini e delle tastiere che fanno da controcanto al testo è in un certo senso una riedizione dei sintetizzatori dell’84. Come dire, una canzone dall’
appeal immediato, costruita in studio per suonare
radio-friendly, ma dall’alto potenziale polemico.
La seconda strofa è quella che più di ogni altra ci rimanda alla metà degli Anni 2000. Dal Nord al Sud degli Stati Uniti (
From Chicago to New Orleans), e indipendentemente dalla classe sociale (
From the muscle to the bone) Springsteen denuncia l’individualismo crescente; Nel riferimento a Chicago alcuni hanno colto un attacco ad Obama ma, personalmente, non credo che il 44° Presidente degli Stati Uniti - nato a Honolulu e cresciuto in Indonesia – sia il bersaglio primario dello sfogo Springteeniano. Associata a New Orleans, la menzione alla città dell’Illinois sembra riferita all'Eastland Disaster del 1915. La cosa notevole però, credo, è il ritorno sulla tragedia di New Orleans a quasi sette anni di distanza senza accennare, nel contempo, al disastro della BP. Questo mi fa sospettare che
We Take Care Of Our Own possa risalire al periodo di
Magic, senza che comunque questo la renda un pezzo di “cronaca”. Ben prima di
Magic e delle sue possibili
ottakes, Springsteen aveva reso omaggio a New Orleans dedicandole virtualmente il
tour del 2006, e riscrivendo
How can a Poor man stand such times and live di “Blind” Alfreed Reed. Qui invece si ritorna sulla tragedia dell’uragano Katrina con una precisione inusuale per Springsteen (
From the shotgun shack to the Super Dome / There ain't no help, the cavalry stayed home / There ain't no one hearing the bugle blowin'). Ancora una volta si chiama in causa l’assenza del governo nel momento del bisogno, ma è importante ricordare che a quest’assenza non si contrappose uno spirito di solidarietà fra cittadini che permise loro di far fronte all’emergenza, “prendendosi cura l'uno dell’altro”. Al contrario, la rabbia sociale esplose, e New Orleans affondò nell’anarchia, con negozi messi a ferro e fuoco e le abitazioni svaligiate. Questo è un particolare margiale, e sarebbe tendenzioso enfatizzarlo per interpretare “We take care of our own”, come un odioso
Mors tua, Vita mea. Ci aiuta però a capire qual è lo spirito di questa canzone. Dietro al ritornello non c’è l’usuale invito a rimboccarsi le maniche e a ricominciare tutti assieme; siamo ancora un passo indietro; c’è in primo luogo l’amara costatazione di un tessuto sociale sempre più sfilacciato, una realtà dove ognuno pensa in primo luogo ai propri interessi; per triste necessità più che per egoismo. A mio avviso, le immagini che accompagnano il testo nella nuova versione del
video sono eloquenti al riguardo. Ad uno Springsteen solitario che sfoga la sua rabbia sulla
Fender di mille battaglie (ben più di quanto il pezzo richiederebbe, per verità), si contrappone una serie di volti normali, ma dall’espressione assente. Nessuno si guarda negli occhi, nessuno interagisce con nulla. Anche nell’immagine corale conclusiva, ognuno sembra indifferente a quanto lo circonda. Neppure i bambini guardano verso l’obiettivo della macchina da presa. Ognuno coltiva, come può, il proprio orticello; è quindi - involontariamente - complice e responsabile dello stato delle cose. E Springsteen glielo rinfaccia, sperando in una reazione. Al proposito, non credo sia una caso che, malgrado il decesso di Whitney Houston, Springsteen abbia deciso di aprire la sua
performance ai
Grammy Awards con “
America, are you alive out there?”. Certo, può essere interpretato come l’usuale maniera di aprire un concerto, ma chiamare la Nazione a dar prova di sé, a dimostrarsi viva, è proprio ciò che sta alla base di
We Take Care Of Our Own.
Sempre la
Performance ai Grammy ci offre una chiave interpretativa “nuova” per il finale della canzone. Nella versione studio il moderno
"Ubi sunt?" dell’ultima strofa dimonstra come sia la società, al pari della politica, il bersaglio della critica springsteenina. Dove sono gli occhi con volontà di vedere lo stato delle cose? Dove sono i cuori disposti alla misericordia? Dov’è quell’amore che non era mai venuto meno? Dov’è il lavoro che nobilita l’uomo? Dov’è finita la spiritualità? E da ultimo, dove è finito il sogno Americano e la promessa di fratellanza implicita nella citazione di
America The Beautiful? Questi sono aspetti che riguardano il singolo cittadino, non la politica. Nella versione studio queste domande rimanevano inevase. Seguiva invece un triplice
Wherever this flag’s flown, intonato quasi come “where ever”, come se si trattasse di un’ulteriore domanda retorica, a sintetizzare le precedenti. Come a dire, dove diavolo è finita la Nazione? E ogni cittadino, nel suo piccolo, era chiamato ad interrogarsi sul proprio egoistico prendersi cura di sé. Nella versione
live di ieri, Springsteen ha livemente modificato il testo cantando "
That (o
That's?)
wherever the flag’s flown”, dando così una risposta speranzosa ai suoi interrogativi: “la volontà di vedere, l’amore, il lavoro, la spritualità eccetera sono ancora, potenzialmente, dovunque sventoli la bandiera, o almeno questo è quello che dovrebbe essere. Vediamo se questo continuerà ad essere il testo proposto dal vivo. A prescindere però da questa modifica
live, possiamo intuire perché
Wrecking Ball è stato presentato come il più arrabbiato fra gli
album di Springsteen. Mai sino ad ora Bruce aveva messo i suoi
fans (e se stesso) sul banco degli accusati, chiamamandoli, tanto veementemente, ad un esame di coscienza.
Ultima modifica di
Gian il martedì 14 febbraio 2012, 11:25, modificato 1 volta in totale.