Su un altro forum, discutendo di The Promise, un utente mi aveva chiesto chiarimenti sul perché - secondo me - più che dalla causa legale l'esclusione di The Promise dal Darkness on the edge of town fosse stata dettata da ragioni di ordine testuale. La mia risposta era stata (probabilmente a ragione ) del tutto snobbata , forse perché inserita in un topic assai eterogeneo e multimediale. Un po' mi dispiace perché poteva nascerne una discussione interessante. Mi permetto così di riproporre il testo di seguito, scusandomi d'anticipo per l' "egocentrismo" dell'operazione. Mettiamola così, prendendola alla larga
: nell’introduzione di
Songs a
Darkness on the edge of town, Springsteen scrive (era il 1998, ma copio da
Repubblica di domenica):
“Volevo che i miei nuovi protagonisti si sentissero logorati, invecchiati, ma non sconfitti”, per poi concludere
"Tonight I'll be on that hill, stasera sarò su quella collina, indica che i miei personaggi sono sì incerti sul loro destino, ma saldi, determinati". Questo da solo bastarebbe a spiegare il "sacrificio" di un testo come quello
The Promise.
Se non fosse sufficiente, sul
New York Times dello scorso 4 novembre, Springsteen rende ancor più esplicito il concetto, dicendo, a riguardo di
The Promise:
“It was a song about defeat, and it was self-referential, which made me uncomfortable” e poco più avanti
“I didn’t want it to overtake the album, which, in the end, was not my personal story. I wanted ‘Darkness’ to be completely independent of that. So I left it off.”Ora, Dave Marsh nel suo
Born to run ci racconta che
The Promise (al pari di
Don’t Look Back) sarebbe stata in ballattaggio per l’inclusione nell’album fino all’ultimo momento, ma che alla fine le fu preferita
Darkness on the edge of town. Mentre quest’ultima rappresentava appieno l’idea espressa nell’introduzione di
Songs,
The Promise - come pochissime altre canzoni in Springsteen - era una canzone di completa autocommiserazione. Di epico aveva solo l’arrangiamento
full-band delle
Darkness sessions. E non è un caso, io credo, che quando Bruce l’avrebbe infine pubblicata nel 1999, le avrebbe dato un arrangiamento dimesso assai più in sintonia con le parole della canzone. Certo, forse voleva “salvarsi” la versione
full-band per altri scopi (così come aveva escluso
The Fever e
None But The Brave da
Tracks...) ma è pur vero che, salvo rarissime eccezioni, dal vivo
The Promise era sempre stata eseguita nella sua veste solo-piano. Come dire: quel testo e quel tono non dovevano convincere del tutto l’autore. Al tal riguardo mi sembra davvero indicativo il fatto che, quando finalmente Bruce decide di pubblicare la versione “epica”
full-band, che cosa fa? Ne usa una versione che dà un bel colpo di spugna agli ultimi quattro versi (estremamente intrigante l'annotazione "-4 lines" accanto al titolo The Promise nel PDF pubblicitario del cofanetto) Certo, può trattarsi di una scelta di carattere musicale, per conferire al cantato maggior slancio prima del “ritornello” conclusivo
“Thunder roooaaad, eccetera, eccetera”; ma è pur vero che
I followed that dream through the southwestern flats / That dead ends in two-bit bars / And when the promise was broken I was far away from home / Sleepin' in the back seat of a borrowed car erano i versi che più enfatizzavano la sconfitta del protagonista. Se l’accompagnamento dev’essere
full-band, sembra di capire, che almeno il testo suoni meno rassegnato.
C’è poi il problema del testo di
The Promise in quanto tale, e di cui Springsteen, probabilmente, non è mai stato del tutto convinto. Difatti, sembra modificarlo ad ogni incisione.
Si è detto dei quattro versi tagliati dalla versione
full-band rispetto alla quella di
18 Tracks; se poi confrontiamo queste due versioni con quella del video in studio del 1978, notiamo altre differenze di sostanza: l’attacco della terza strofa “molla” il mondo delle corse e svolta su un più neutro
Well my daddy taught me how to walk quiet and how to make my peace with the past / I learned real good to tighten up inside and I don't say nothing unless I'm asked. Questa variante - con lievi ritocchi - sarà quella che Bruce proporrà dal vivo nel 1978, per ritornare però a
I won big once and I hit the coast, oh but somehow I paid the big cost / Inside I felt like I was carrying the broken spirits of all the other ones who lost per la versione solo-piano del 1999. Ossia: Springsteen sa di aver per le mani un capolavoro potenziale, ma non riesce a trovare la quadratura del cerchio.
Paradossalmente, anche le allusioni alla causa legale, che alcuni giornalisti vollero coglierci nel
tour del 1976, trovano una giustificazione nella parziale “incompiutezza” del testo. Proviamo a chiediamoci: perché proprio
The Promise – e non, che ne so,
Something in the night deve parlare dei problemi con Appel?
- Perché era nuova e rassegnata; d’accordo.
- Perché alludeva alla musica; ok.
- Perché parlava di promesse tradite e alludeva a
Thunder road, e va bene.
Ma forse, e al di là di tutte queste validissime ragioni, il motivo per cui ci si è visto dietro qualcosa di taciuto e personale è che la canzone - qua e là – manca di
focus se non di coerenza. Tutto è intuibile certo, ma nulla risulta davvero chiaro.
Vediamo un po’: si comincia col parlare di fabbriche e di una
band, si allude ad amici e/o amanti che non avranno poi ruolo alcuno (o quasi) nel vicenda; (
Johnny works in a factory and Billy works downtown / Terry works in a rock and roll band lookin' for that million-dollar sound). Si passa a descrivere l’accidia (peccato capitale, tantopiù in Springsteen!) del protagonista, finendo col tamponare
Racing in the Street (
And I drove a Challenger down Route 9 through the dead ends and all the bad scenes / And when the promise was broken, I cashed in a few of my own dreams/ Well now I built that Challenger by myself). Non contenti, si vende la macchina (per soldi), e si rivela un segreto – destinato però a rimanere tale – per responsabilità propria (
I lived a secret I should'a kept to myself, but I got drunk one night and I told it) e si passa a descrivere, in astratto, la disillusione della vita (
All my life I fought this fight, the fight that no man can ever win / Every day it just gets harder to live this dream I'm believing in). Tutto questo ancor prima di arrivare alla terza strofa - quella “mutante” fra le corse e il
Daddy - e senza considerare le implicazioni di un ritornello che cita ancora un’altra canzone (un’autocitazione per di più, che oggi può apparire epica, ma che allora non doveva essere il
top del buon gusto per un musicista con un solo successo alle spalle).
A causa di tutta questa indeterminatezza testuale, non c’è da stupirsi se qualcuno abbia finito per legare la canzone alla cronaca del tempo facendone un’allegoria della causa legale: era la scorciatoia più comoda per riannodare tutti i capi sciolti. Ma il “torto” di
The Promise più che di ordine giuridico, era di ordine testuale.
Intendiamoci: The Promise funziona benissimo anche così com’è, e non sarebbe certo la sola canzone di Springsteen a “vivere di allusioni” (pensiamo, per assurdo, alla stessa
Darkness on the edge of town). La sua “sfortuna” e però che nel contesto dell'
album del '78, dove la selezione è spietata ed ogni nota deve virtualmente lottare per la sopravvivenza, l’incompiutezza equivale ad una condanna. Ad imporsi sono solo le canzoni che meglio si adattano al tema specifico dell’
album e che sono nel contempo le più “evolute” stilisticamente. E non è un caso, io credo, che su
Darkness on the edge of town ci finisca la sorella più riuscita di
The Promise,
Racing in the street. Sempre dal paragrafo introduttivo su
Songs:
“Per personalizzare Racing e gli altri titoli dovevo infondere nella musica le mie speranze e le mie paure. Altrimenti i personaggi suonano falsi, e resta solo la retorica, parole vuote di significato” (mentre in
The Promise la "retorica" ha di certo la meglio sulla trama...). D’accordo, la scelta effettiva era fra
The Promise e
Darkness on the edge of town, non
Racing in the street; ma quello che alla fine favorisce la futura
title-track è la sua “compatibilità” sull’album proprio con
Racing in the street. Un
album di dieci canzoni non avrebbe tollerato la presenza contemporanea di due ballate di soggetto identico come
The Promise e
Racing in the Street. Ma mentre con la prima si “naviga a vista”, la seconda è un capolavoro di coerenza narrativa. Era inevitabile quindi, al di là di Appel, dell’autobiografia e delle cause legali - che
The Promise restasse fuori dall’
album.
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Gian il venerdì 12 novembre 2010, 18:39, modificato 6 volte in totale.